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Le conseguenze dell’annullamento del Privacy Shield

GDPR PRIVACY SHIELD


\r\n​​​​​​​Sono ormai trascorsi quasi 2 mesi dalla decisione della Corte di Giustizia dello scorso 16 luglio dove è stato annullato il Privacy Shield. Ovvero l’accordo che permetteva il trasferimento di dati personali negli U.S.A.

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Quali sono le conseguenze concrete che questa sentenza ha arrecato ai siti ecommerce e alle imprese che operano nel mondo digitale?
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Cos’era il Privacy Shield

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È fondamentale partire dallo spiegare cos’era e che operazioni erano concesse quando era ancora in vigore il Privacy Shield. 

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Esso non era altro che un accordo sottoscritto il 12 luglio 2016 tra gli U.S.A. (Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti) e la Commissione europea, con il quale era possibile garantire una tutela ritenuta adeguata alla riservatezza dei dati personali di cittadini europei allocati presso aziende americane. 

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Le imprese d’oltreoceano, che volevano essere autorizzate a ricevere dati personali dalle società europee, dovevano registrare una autocertificazione ove si impegnavano a tutelare i dati dei cittadini europei in base a quanto previsto dal Privacy Shield.

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Il Privacy Shield quindi obbligava le imprese americane, ad esso aderenti, a proteggere i dati personali dei cittadini europei e le rendeva soggette a maggiori controlli sia da parte del Dipartimento del Commercio USA che da parte della Federal Trade Commission.

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Era quindi possibile trasferire legittimamente dati personali negli USA dovendo solo verificare che l’azienda americana, verso la quale sarebbe avvenuto il trasferimento, avesse aderito al Privacy Shield.
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Criticità del Privacy Shield

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Tale accordo non è mai stato accolto con particolare entusiasmo da parte del Garante Europeo della Protezione dei Dati (GEPD). 

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Più recentemente è stato lo stesso Parlamento Europeo a sollevare il dubbio che tale accordo non tutelasse in maniera adeguata i dati personali dei cittadini europei, approvando così una risoluzione nella quale si chiedeva alla Commissione europea di verificare che le regole dell’accordo fossero rispettate. 

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Le criticità del Privacy Shield riguardavano principalmente:

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    La possibilità per il governo USA di raccogliere ed accedere ai dati personali dei cittadini europei, conservati presso aziende americane, per motivi connessi alla sicurezza nazionale;

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    L’insufficienza degli strumenti giuridici di tutela;

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    L’impossibilità di far affidamento sulle autocertificazioni delle imprese americane prima che esse avessero ricevuto l’effettiva certificazione da parte del Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti

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Sicuramente i presupposti dai quali emergono queste criticità sono le visioni distinte di ciò che significa “tutela dei dati personali” tra Europa e U.S.A.. Infatti in Europa la tutela è principalmente incentrata sull’individui mentre in America viene tutelata l’informazione, ciò significa che paradossalmente possono essere raccolti liberamente dati personali qualora non venga specificato a quali individui tali dati siano imputabili.
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Cosa ha deciso la Corte di Giustizia dell’Unione europea

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La Corte di Giustizia dell’Unione europea ha affermato che non è tanto il fatto che il governo U.S.A. tratti i dati personali di cittadini europei, trasferiti presso le aziende americane, a costituire una problematica.
\r\nL’elemento che costituisce criticità è il fatto che la possibilità di trattare i dati dei cittadini europei non sia circoscritta in maniera equivalente rispetto a quanto è consentito in Europa, è quest’ultimo fatto che costituisce violazione alla riservatezza dei dati personali dei cittadini europei
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\r\nOvvero le autorità statunitensi non hanno gli stessi limiti europei ai programmi di sorveglianza. Infatti le autorità europee possono accedere ai dati personali solo se strettamente necessario e ai soli dati indispensabili. È a causa della mancanza di proporzionalità, tra l’accesso indiscriminato ai dati e tra i dichiarati fini di difesa e di pubblica sicurezza, a costituire una limitazione alla protezione dei dati personali dei cittadini europei allocati in America.   

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Solamente qualora il trattamento dei dati personali in U.S.A. sia conforme a quanto previsto nel GDPR sarà possibile tutelare in maniere adeguata i dati personali trasferiti presso le aziende d’oltreoceano.
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Ci sono dei casi in cui un ecommerce può ancora trasferire i dati personali dei clienti negli U.S.A?

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Nella pratica si gli ecommerce possono ancora trasferire i dati negli U.S.A. ma, in sostanza, questo è diventato molto più difficile. 

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Venendo meno uno dei presupposti che consentivano il trasferimento dei dati personali oltreoceano, ovvero una decisione di adeguatezza (come lo era il Privacy Shield), le restanti circostanze legittimanti sono due: 

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    Presenza di una clausola standard, ovvero un accordo specifico tra il sito ecommerce e l’azienda che riceve i dati e che fornisca ai consumatori una adeguata tutela (difficile da ottenere date le normative del governo americano che, in conformità al principio della gerarchia delle fonti, prevale su qualsiasi contratto);

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    Clausole in vigore e vincolanti per le imprese che fanno parte di un gruppo societario

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Tuttavia, nel GDPR sono presenti altre circostanze che legittimano il trasferimento dei dati personali dei clienti negli U.S.A., costituendo delle eccezioni, come: 

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    Consenso specifico dell’utente del sito ecommerce 

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    Necessità di effettuare il trasferimento dei dati per dare esecuzione al contratto di vendita 

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    Bisogno di trasferire i dati per difendersi in giudizio

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Prima dell’abolizione del Privacy Shield il trasferimento dei dati personali in U.S.A. poteva avvenire per motivi di mera gestione interna del sito ecommerce. Ora questo non è più possibile deve infatti sussistere una circostanza sopra indicata. 
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Come è possibile “adeguarsi” a questa decisione 

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Questa decisione della Corte di Giustizia dell’Unione europea ha prodotto e produrrà molteplici conseguenze nel mondo dell’ecommerce. 

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I titolari e responsabili del trattamento ai sensi del GDPR dovranno effettuare nuove analisi e valutazioni e, nel caso vogliano continuare a trasferire i dati personali di consumatori europei negli U.S.A., dovranno effettuare una preventiva verifica caso per caso e muoversi attivamente per garantire l’esistenza delle adeguate garanzie che consentano la trasmissione dei dati presso un’azienda americana. 

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Molti ecommerce dovranno riorganizzare il loro business online e nello scegliere la piattaforma CMS saranno incentivati a privilegiare società più vicine a loro e collocate entro i confini europei. 

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Le piattaforme CMS che sono collocate in Italia o comunque in altri Paesi dell’unione europea condividono gli stessi principi e la stessa attenzione nella tutela di dati personali dei consumatori in conformità appunto a quanto disposto dal GDPR.

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Un esempio delle poche piattaforme CMS europee, in caso specifico anche totalmente italiana, è TeamSystem.

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Una ragione in più per scegliere una piattaforma totalmente italiana!
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\r\nAutore: Selene Galeazzi, consulente legale di LegalBlink

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